Macchie d'Inchiostro


Replying to Vecchia Donna Gufo

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  1. Posted 18/8/2014, 12:25
    Boh, lo metto qui perché sì. Le solite cose che scrivo senza capo nè coda.

    ----------------

    La notte era piena di luce e profumava di gelsomino ed erba appena tagliata. Seduta sul suo trespolo di stelle la vecchia alzò il naso adunco, gli occhi chiusi e le mani artigliate ben piantate sulle ginocchia, aspirando a pieni polmoni quel profumo corroborante. Solo dopo molti minuti -forse ore, forse giorni, chissà- passati in quella posizione si decise, infine, a riaprire gli occhi.
Dovette alzare di nuovo la testa, infastidita, per incontrare lo sguardo dell’uomo davanti a lei. 
-Era ora!
    Sbottò, infilando una mano nella manica per tirarne fuori un pacchetto stropicciato di sigarette. Ne sfilò una, offrendo l’ultima al suo visitatore che rifiutò con un cenno gentile del capo. La vecchia si strinse nelle spalle, affilò gli occhi gialli e si accese la sigaretta sputando in alto il fumo della prima boccata.
    -Sei in ritardo, wanagi.
    Alzò minacciosa l’indice, quasi come un artiglio, sgridando blandamente quell’anima alta che la costringeva ad alzare la testa per essere guardata in viso. L’uomo si strinse nelle spalle, scusandosi con quel breve movimento per tutto il disturbo arrecato. Non aveva detto una sola parola ma non aveva mai smesso di guardarla negli occhi. La vecchia era felice di rispecchiarsi in uno sguardo scuro e profondo -occhi da animale, si diceva una volta, con quel marrone carico nel quale era impossibile leggere alcunché perché risucchiava qualsiasi cosa- invece che in uno giallo e rapace simile al suo: a quell’uomo non si erano mai adattati quegli occhi.
    Rispettò il suo silenzio per un po’, con la sigaretta che le penzolava all’angolo della bocca e il filo di fumo che saliva in cielo intersecandosi fra la stella polare e Cassiopea.
    Poi cominciò a sbuffare, brontolare e sistemarsi con movimenti secchi sul trespolo, spostandolo un po’ dalla strada. L’uomo non la guardava più, con lo sguardo fisso in basso, concentrato su altri pensieri.
    -Ehi, wanagi! Che pensi di fare, restare lì in eterno? Guarda che intralci il cammino.
    -Mi spiace.
    Però l’anima non distolse lo sguardo da quel che stava fissando laggiù, in basso. 
Irraggiungibile come la luna.
    -Senti un po’.
    La vecchia si alzò, traballante, con il mantello di piume che le faceva da strascico spolverando alcune stelle e coprendone altre. Si affiancò all’anima, per dare un’occhiata a quel che sembrava attirare così tanto la sua attenzione.
    -Che c’è, non sei soddisfatto? Sei così avido, ombra bianca?
    -Mi spiace.
    La Donna Gufo si tolse la sigaretta dalla bocca e lasciò cadere il mozzicone nello spazio fra il tempo, che ci pensasse quello a distruggerlo, voltando poi la testa con un tintinnio di perline. Ghignò, malevola, tirando una gomitata all’anca dell’anima che accusò senza muoversi minimamente. Non sarebbe neanche riuscita ad arrivare a colpirlo più su: era davvero un’ombra alta quella.
    -Per te, per lui, per quello che è o per quello che non è?
    -Tutt’e tre le cose insieme.
    -Ne ho dette quattro.
    -La prima non conta.
    -Quale spirito di sacrificio! E che pensi di fare, rimanere davvero qui in eterno a guardar giù? L’eternità è una lunga strada.
    L’anima si mise a braccia conserte, le gambe appena divaricate su quel ponte di polvere e luce, fissando la vecchia che gli arrivava a mala pena all’ombelico.
    -Non c’è altra strada.
    -Pft. Questi giovani d’oggi, così ignoranti.
    La Donna Gufo allungò una mano, con una pacca affettuosa sulla coscia del gigante, e tornò a caracollare verso il suo trespolo.
    -Aiutami a spostarlo più ad est, che qui non prendo bene il sole.
    Ordinò, aspettandosi la risposta affermativa che in effetti venne. L’anima strinse fra le mani i manici d’osso e, con estrema fatica, lo spostò di mezzo centimetro.
    -Piano, piano! Che qui mi righi la strada. Va bene così.
    Si riarrampicò sulla sua postazione, in piedi sul trespolo per arrivare ad appoggiare la mano sulla fronte del gigante.
    -Che vuoi fare, wanagi? Qui non puoi restare.
    -Che scelta ho? Sarei davvero avido a desiderare altro.
    -Avido o umano. Lo siamo stati tutti. Un passo dopo l’altro, una vita dopo l’altra, siamo tutti avidi per amore. Temi così tanto?
    -Temo quel che è stato lasciato incompiuto.
    -Eh, giovani d’oggi davvero.
    La vecchia Donna Gufo si sedette di nuovo, spalancando i grandi occhi tondi nel viso pieno di rughe. A gambe incrociate sul trespolo spalancò le braccia come ali, richiamando l’attenzione.
    -A Sud, c’è quel che credi ti aspetti. E’ una strada in discesa, facile per tutte le anime. Arriverai alla fine e allora quanto la tua vita sia stata pura o malvagia non sarò io a deciderlo, ma il tuo cuore riflesso sul Ponte. Allora saprai.
    Abbassò un braccio, sorridendo con i denti neri.
    -A Nord, c’è quel che temi. Ma è una strada difficile, di cunicoli scavati nella roccia a forza di unghie, e hai bisogno di qualcuno che ti chiami per percorrerla. Da ombra bianca a ombra nera. Sei convinto di avere qualcuno che ti sta chiamando?
    L’anima si voltò verso nord, come se la strada a sud non potesse neanche essere contemplata, e sorrise debolmente.
    -Non si ricorda né di me né di se stesso. Ma questo non gl’impedisce di chiamarmi.
    -Allora non capisco cosa stai facendo ancora qui. La strada te l’ho indicata, ti ho avvertito di quel che troverai.
    L’anima chinò rispettosamente il capo alla Donna Gufo, appollaiata fra gli universi per indirizzare le anime ritardatarie come lui. Ne doveva aver viste parecchie, negli ultimi tempi. La vecchia ghignò di nuovo, infilandosi l’ultima sigaretta fra le labbra.
    -Portami un pacchetto di sigarette quando torni o ti prenderò a calci.
    Minacciò, lanciandogli il pacchetto vuoto da portare con sé per ricordarselo.
    -Vai.

    Quello che la Vecchia Donna Gufo non gli aveva detto e che lui non aveva chiesto, per quanto fosse intuibile, era che rinascere poteva essere più doloroso che morire. Da anni, da quella prima volta in cui il dolore era stato così forte da strappargli l’anima dal corpo e farla fluire via con il sangue, aveva ormai dimenticato quanta sofferenza potesse portare la morte.
    Aveva percorso troppe volte quella strada per ricordarselo davvero, così quando tornò il dolore gli fece digrignare i denti fin quasi a spezzarli e si ritrovò accartocciato in un luogo che non era più in grado di riconoscere.
    Anche se aveva dimenticato il dolore di ogni singola ferita, perché dimenticare era l’unico modo per riuscire a mettere un piede davanti all’altro, il suo corpo le ricordava tutte. E le ripercorreva una per una, da quel giorno in cui uno straniero con gli occhi azzurri lo aveva scagliato quasi sul Ponte per poi richiamarlo indietro; tutte le volte che per un motivo o per l’altro si era ritrovato a perdere quella vita che gli era stata, sempre, di nuovo concessa. Ora le sentiva, come non le aveva sentite per anni, stringendosi le braccia attorno al corpo spezzate, tagliate, strappate, schiacciate senza avere neanche il fiato per urlare che polmoni vuoi avere, per prendere aria? o tanto meno la forza per piangere di che colore sono adesso i tuoi occhi. 
Rivederle, tutte quelle morti, oltre che subirle, a quanto pare gli veniva risparmiato.
    La morte che rivedeva era l’unica che contasse, l’unica che aveva strappato la sua anima dal corpo, non un rimpiazzo che gli permettesse di respirare ancora. 
Quella non l’aveva dimenticata mai.
Era una giornata di sole, che gli scottava le spalle attraverso la camicia, c’era profumo di pane fresco che aleggiava per tutta la valle e aveva lasciato a terra il fucile perché cosa pensi di fare Nenehawk? Sparare a quello straniero, poco più che bambino? Cosa credi possa farti?
    Poco più che bambino, con il potere di un demone fra le mani che tremavano ancora, lo aveva ucciso e poi aveva pianto per lui. Aveva pianto come piangono i bambini: la testa bassa, la faccia piena di lacrime e le spalle tremanti sotto un vestito troppo pesante. L’aveva capito in quel momento, mentre affrontava quello sguardo troppo blu, che non poteva lasciare una persona del genere da sola. Che lo stava chiamando e non avrebbe più smesso di farlo.
    Ma un legame del genere si sarebbe rivelato troppo pesante per delle spalle così esili e allora lo aveva lasciato andare, perché fossero entrambi liberi da quell’unica morte. Ed ecco che veniva chiamato di nuovo, di nuovo indietro.
    Ma se fosse servita a liberarlo davvero allora anche tutta questa sofferenza avrebbe finalmente avuto un significato.

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